EEA – Set of Indicators
Il "Set of Indicators" dell'Agenzia Europea dell'Ambiente (EEA) è un insieme di indicatori chiave utilizzato per monitorare e valutare diverse dimensioni dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile in Europa. È progettato per fornire informazioni sullo stato dell'ambiente e sul progresso verso obiettivi di sostenibilità.
Sono presenti gli indicatori ISPRA che hanno una corrispondenza (non sempre univoca) con gli indicatori del suddetto core set.
In alcuni casi, a un singolo indicatore del core set ISPRA corrisponde uno o più indicatori del core set in questione, o viceversa, più indicatori del core set ISPRA corrispondono a un singolo indicatore del core set di riferimento.
L'indicatore rappresenta la serie storica delle emissioni di gas serra nazionali dal 1990 al 2022, per settore di provenienza. Dall’analisi dei dati si registra, nel 2022, una riduzione sensibile delle emissioni rispetto al 1990 (-21%), spiegata dalla recessione economica che ha frenato i consumi negli ultimi anni ma anche da un maggiore utilizzo di energie rinnovabili, con conseguente riduzione delle emissioni di CO2 (-30,7% rispetto al 1990).
L'indicatore è costituito dalle quote di emissione generate dagli impianti soggetti al sistema di scambio di quote (EU emissions trading, EU ETS), istituito con la Direttiva 2003/87/CE, e le emissioni di tutti i settori non coperti dal sistema ETS, ovvero piccola-media industria, trasporti, civile, agricoltura e rifiuti, secondo la Decisione 406/2009/CE (Effort Sharing Decision, ESD) fino al 2020 e secondo il Regolamento Effort Sharing (ESR 2018/842) dal 2021. Le emissioni dei settori non ETS, mentre nel 2020 sono state inferiori all’obiettivo richiesto di 37 MtCO2eq, nel 2022 non sono in linea con quanto richiesto dall’obiettivo, poiché superiori 5,5 MtCO2eq.
L'indicatore rappresenta la serie storica delle emissioni nazionali di metalli pesanti dal 1990 al 2022, per settore di provenienza. Dal 1990 si rileva una riduzione delle emissioni per tutti i metalli. In particolare, le emissioni di cadmio, mercurio e piombo sono in linea con gli obiettivi fissati a livello internazionale dal Protocollo di Aarhus, essendosi ridotte rispetto ai valori del 1990 rispettivamente del -63%, -64% e -95%.
L'indicatore rappresenta l'andamento delle emissioni nazionali di particolato (PM10) per settore di provenienza dal 1990 al 2022, evidenziando a livello totale una marcata riduzione negli anni (-40,5%). Il settore del trasporto stradale, che contribuisce alle emissioni totali con una quota emissiva del 10% nel 2022, presenta una riduzione nell’intero periodo pari al 65,6%. Le emissioni provenienti dalla combustione non industriale, nel medesimo periodo, crescono circa del 37,6%, rappresentando nel 2022 il settore più importante con il 45,3% di peso sulle emissioni totali.
La Rete Natura 2000 è costituita in Italia da 2.646 siti, per una superficie totale, al netto delle sovrapposizioni, di 5.845.078 ettari a terra pari al 19,4% del territorio nazionale e una superficie a mare di 2.301.047 ettari pari al 6,4% delle acque (dati aggiornati al dicembre 2023). Sono state designate complessivamente 643 ZPS e 2.364 SIC-ZSC (di cui 361 sono SIC-ZSC coincidenti con ZPS). Nel dicembre 2022 i siti erano 2.639 con un aumento di 7 unità nell’ultimo anno e un incremento di superficie di 163 ettari a terra e 229.358 ettari a mare. Le percentuali di copertura della Rete Natura 2000 sono eterogenee nelle regioni e province autonome, oscillando dal 12% al 36% a terra e da valori inferiori all’1% al 30% a mare. La copertura della Rete a livello nazionale è importante anche in relazione ai target della Strategia europea per la Biodiversità al 2030 (SEB2030) che chiede di ampliare nell'UE le zone protette arrivando almeno al 30% della superficie terrestre e al 30% delle aree marine. Al target SEB2030 contribuiscono tutte le aree sottoposte a forme di tutela quali siti N2000, Parchi Nazionali, Regionali e altre aree protette. In ambito regionale l’Abruzzo o la Valle d’Aosta raggiungono il target SEB2030 con i siti N2000 che coprono rispettivamente il 36% e il 30% del loro territorio, mentre si avvicinano al target la provincia autonoma di Trento (28%), il Molise (27%), la Campania (27%) e la Liguria (26%). Le percentuali di tutela dei siti N2000 a mare sono più basse, solo la Puglia (30%) e la Toscana (27%) hanno livelli di protezione prossimi al target.
Il fenomeno degli incendi boschivi, analizzato sulla base dei dati raccolti dal 1970 al 2022 dal Corpo Forestale dello Stato, ora CUFA dell'Arma dei Carabinieri, presenta un andamento altalenante, con anni di picco (1993, 2007, 2017, 2021) che si alternano ad anni di attenuazione (2013, 2014, 2018). La presenza degli incendi all’interno delle Aree Protette è alta, con valori eccezionalmente elevati in alcune annate, come il 2021 o il 2022, in cui sono stati percorsi dal fuoco, rispettivamente 26.507 e 11.101 ettari. Molto alta l’incidenza degli incendi di origine volontaria, che rappresentano circa la metà degli eventi registrati, arrivando in alcuni anni a superare il 60% (2012, 2014, 2015, 2016, 2020).
La frammentazione del territorio è il processo che genera una progressiva riduzione della superficie degli ambienti naturali e seminaturali e un aumento del loro isolamento. Tale processo, responsabile della trasformazione di patch di territorio di grandi dimensioni in parti di territorio di minor estensione e più isolate, è frutto principalmente dei fenomeni di espansione urbana che si attuano secondo forme più o meno sostenibili e dello sviluppo della rete infrastrutturale volta a migliorare il collegamento delle aree urbanizzate mediante opere lineari. Il 40,75% del territorio nazionale risulta nel 2022 classificato a elevata e molto elevata frammentazione. Le regioni con maggior superficie a frammentazione molto elevata sono Veneto (38,43%), Lombardia (32,68%), Friuli-Venezia Giulia (24,48%) e Puglia (24,35%). Tale dato conferma la stretta corrispondenza tra frammentazione e densità di urbanizzazione.
L’indicatore rappresenta l’andamento nazionale dei valori di emissione dei precursori di ozono troposferico: ossidi di azoto e composti organici volatili non metanici, distinti per settore di provenienza. Si evidenzia la marcata decrescita dal 1990 al 2022 (-71% per NOx, e -58% per COVNM), determinata dalla forte diminuzione delle emissioni derivanti dal trasporto.
L'indicatore descrive l'andamento delle emissioni nazionali di sostanze acidificanti SOx, NOx e NH3, sia a livello totale sia settoriale, evidenziandone il trend decrescente dal 1990 al 2022 (-72,3%). Con riferimento alla Direttiva 2016/2284 del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, che definisce gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni rispetto al 2005, applicabili dal 2020 al 2029 e a partire dal 2030, gli ossidi di zolfo e l’ammoniaca raggiungono la percentuale di riduzione imposta per il 2020 già dal 2009; mentre gli ossidi di azoto la raggiungono nel 2014.
Elevati livelli di rumore possono influire sullo stato di benessere. Gli effetti del rumore sulla salute comprendono lo stress, la riduzione del benessere psicologico e i disturbi del sonno, ma anche problemi cardiovascolari.
Nell'ambito della gestione dell'inquinamento acustico, con l'emanazione della Direttiva 2002/49/CE, l'Unione Europea ha definito un approccio comune per evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi dell'esposizione della popolazione al rumore ambientale. L'approccio si fonda sulla determinazione dell'esposizione al rumore ambientale, sull'informazione del pubblico e sull'attuazione di Piani di Azione a livello locale. La popolazione esposta al rumore viene determinata attraverso la mappatura acustica, elaborata sulla base di metodi comuni e condivisi.
Dalle mappature acustiche risulta elevata la popolazione esposta a livelli di rumore superiori ai livelli raccomandati dall'OMS. Il traffico stradale rappresenta la principale fonte di rumore.
L'indicatore quantifica il suolo consumato a seguito di una variazione da una copertura non artificiale a una copertura artificiale, secondo il principio del consumo di suolo netto, ovvero al netto delle trasformazioni da suolo consumato a suolo non consumato (in genere ripristino di cantieri e di altre aree che l’anno precedente rientravano nel consumo di suolo reversibile). Il consumo di suolo netto registrato nel corso del 2022 ha riguardato 7.075 ettari di territorio, causando la perdita spesso irreversibile di aree naturali semi-naturali e agricole e dei loro rispettivi servizi ecosistemici.
L’indicatore fornisce le informazioni principali sui 42 siti contaminati d’interesse nazionale (SIN). La superficie complessiva a terra dei SIN è pari a 149.052 ettari e rappresenta lo 0,49% della superficie del territorio italiano. L’estensione complessiva delle aree a mare ricomprese nei SIN è pari a 77.733 ettari. La problematica interessa, ad eccezione del Molise, tutte le regioni italiane. L’avanzamento complessivo delle procedure a terra è noto, sia per i suoli sia per le acque sotterranee, per poco più del 60% dell’estensione totale dei 35 SIN considerati; si osserva che a giugno 2021, la caratterizzazione è stata eseguita nel 64% della superficie (66% nel caso dei suoli), gli interventi di bonifica/messa in sicurezza sono stati approvati con decreto nel 14% della superficie (18% nel caso delle acque sotterranee) e il procedimento si è concluso nel 16% della superficie per i suoli e 12% per le acque sotterranee.
Nel periodo considerato (2007-2021) si osserva che la maggioranza degli stock ittici valutati si trova in uno stato di sovrasfruttamento: la mortalità indotta dalla pesca risulta superiore a quella necessaria per conseguire uno sfruttamento sostenibile delle risorse nel lungo periodo in condizioni ambientali medie.
L’indicatore, basato sulle valutazioni analitiche degli stock validate a livello internazionale, mostra la tendenza complessiva dello stato di sfruttamento degli stock ittici oggetto di pesca commerciale al fine di evidenziare lo stato delle risorse oggetto di prelievo. L’indicatore è associato alla valutazione della copertura percentuale degli sbarcati per i quali sono disponibili stock assessment. L'analisi è condotta a livello nazionale e di sottoregione secondo la ripartizione geografica indicata dalla Direttiva Quadro Strategia Marina.
L'indicatore mostra la quantità di rifiuti speciali smaltiti in discarica per categoria e per tipologia di rifiuti e il numero di discariche. Nel 2021, i quantitativi di rifiuti speciali complessivamente smaltiti in discarica ammontano a circa 10,2 milioni di tonnellate, pari al 5,7% del quantitativo totale dei rifiuti speciali gestiti a livello nazionale (178 milioni di tonnellate). Rispetto al 2020,anno dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, si rileva un aumento pari a circa 309 mila tonnellate (+3,1%), mentre, rispetto al 2019, si registra una riduzione di 1,8 milioni di tonnellate (-15%). Il numero totale delle discariche operative è pari a 270: 119 discariche per rifiuti inerti (44% del totale degli impianti operativi), 140 discariche per rifiuti non pericolosi (52% del totale), e 11 discariche per rifiuti pericolosi (4% del totale). Analizzando il triennio 2019 - 2021, si assiste a una progressiva diminuzione del numero totale degli impianti di discarica operativi che passano da 305 del 2019, a 285 del 2020, e a 270 nel 2021.
Nel 2022, i quantitativi di rifiuti urbani complessivamente smaltiti in discarica ammontano a circa 5,2 milioni di tonnellate, e il numero delle discariche operative è pari a 117 impianti. Si registra una riduzione, rispetto al 2021, delle quantità totali di rifiuti urbani smaltiti in discarica pari al 7,9% (-446 mila tonnellate) e una riduzione del numero degli impianti pari al 3,8% (-9 impianti).
La produzione di rifiuti speciali totale, in Italia nel 2021, si attesta a 165 milioni di tonnellate mostrando, rispetto al 2020, un aumento del 12,2%, corrispondente a quasi 18 milioni di tonnellate. Va ad ogni modo segnalato che il confronto con il 2020 non può essere ritenuto rappresentativo di una situazione ordinaria, tenuto conto dell’emergenza sanitaria che ha segnato l’intero contesto socioeconomico nazionale, con conseguenti ripercussioni sul sistema produttivo nazionale e sui consumi. Nel 2021 si assiste a una generale ripresa delle attività economiche. La produzione industriale e manifatturiera risulta, infatti, caratterizzata dal graduale ripristino degli scambi commerciali, fondamentali nelle catene di approvvigionamento delle materie prime e dei prodotti semilavorati, nonostante per alcuni settori persistano ancora ripercussioni negative legate al periodo emergenziale. I rifiuti non pericolosi, che rappresentano il 93,5% del totale dei rifiuti prodotti, aumentano di 17,1 milioni di tonnellate (+12,5%), quelli pericolosi di 818 mila tonnellate (+8,3%). L’incremento registrato nella produzione dei rifiuti non pericolosi è imputabile principalmente all’aumento del quantitativo dei rifiuti da costruzione e demolizione (+19,2%, corrispondente a 12,4 milioni di tonnellate). Il settore delle costruzioni, infatti, ha registrato una significativa ripresa dopo la crisi pandemica, grazie al ripristino e/o all’apertura di cantieri destinati alla costruzione di infrastrutture e opere pubbliche e di edilizia abitativa e commerciale. Va rilevato, inoltre, che tale settore è stato oggetto, negli ultimi anni, di incentivi disposti dal Governo per la ristrutturazione degli immobili mirati alla riqualificazione energetica degli edifici.
La produzione nazionale dei rifiuti urbani (RU) si attesta, nel 2022, a circa 29,1 milioni di tonnellate, in calo dell’1,8% (543 mila tonnellate) rispetto al 2021. In termini generali, il dato del 2022 sembra riflettere l’andamento tendenzialmente in calo riscontrato nel lungo periodo.
L'indicatore descrive l'andamento della temperatura media in Italia. L'aumento della temperatura media registrato in Italia negli ultimi trenta anni è spesso superiore a quello medio globale sulla terraferma. Nel 2022 l’anomalia, rispetto alla media climatologica 1991-2020, della temperatura media in Italia (+1,23 °C) è stata superiore a quella globale sulla terraferma (+0,49 °C). In Italia, il 2022 è risultato l'anno più caldo dell'intera serie annuale dal 1961. A partire dal 2000 le anomalie rispetto alla base climatologica 1991-2020 sono state sempre positive, ad eccezione di quattro anni (2004, 2005, 2010 e 2013).
L’indicatore si basa sui dati di concentrazione di PM10 in atmosfera misurati nel corso del 2022 nelle stazioni di monitoraggio distribuite sul territorio nazionale, raccolti e archiviati in ISPRA nel database InfoAria, secondo quanto previsto dalla Direttiva 2008/50/CE (e dal decreto legislativo di recepimento D.Lgs. 155/2010) e dalla Decisione 2011/850/EU. Le stazioni di monitoraggio che hanno misurato e comunicato dati di PM10 sono 596. Le serie di dati con copertura temporale sufficiente per la verifica dei valori di riferimento sono 547. Sono stati registrati superamenti sia del valore limite annuale (1 stazione pari allo 0,2% dei casi) sia del valore limite giornaliero (111 stazioni pari al 20% dei casi). Risultano infine superati nella maggior parte delle stazioni di monitoraggio sia il valore di riferimento annuale dell’OMS (93% dei casi), sia quello giornaliero (88% dei casi).
L’indicatore si basa sui dati di concentrazione di benzo(a)pirene in atmosfera, misurati nel corso del 2022 nelle stazioni di monitoraggio distribuite sul territorio nazionale, raccolti e archiviati in ISPRA nel database InfoAria, secondo quanto previsto dalla Direttiva 2008/50/CE (e dal decreto legislativo di recepimento D.Lgs. 155/2010) e dalla Decisione 2011/850/EU. Le stazioni di monitoraggio che hanno misurato e comunicato dati di B(a)P sono 175. Le serie di dati con copertura temporale sufficiente per la verifica dei valori di riferimento sono 152. Sono stati registrati superamenti del valore obiettivo in 16 stazioni, pari al 10,5% dei casi.
L’indicatore si basa sui dati di concentrazione di biossido di azoto (NO2) in atmosfera misurati nel corso del 2022 nelle stazioni di monitoraggio distribuite sul territorio nazionale, raccolti e archiviati da ISPRA nel database InfoAria, secondo quanto previsto dalla Direttiva 2008/50/CE (e dal decreto legislativo di recepimento D.Lgs 155/2010) e dalla Decisione 2011/850/EU. Le stazioni di monitoraggio che hanno misurato e comunicato dati di NO2 sono 651. Le serie di dati con copertura temporale sufficiente per la verifica dei valori di rifermento sono 593. Il Valore limite orario è rispettato ovunque: in nessuna stazione si è verificato il superamento di 200 µg/m³, come media oraria, per più di 18 volte. Il valore di riferimento OMS, che non prevede superamenti dei 200 µg/m³, è superato in 12 stazioni (pari al 2,0 % delle stazioni con copertura temporale sufficiente). Il valore limite annuale, pari a 40 µg/m³ come media annua, è superato in 16 stazioni (2,7 %). Il valore di riferimento OMS per gli effetti a lungo termine sulla salute umana, pari a 10 µg/m³ come media annua, è superato in 462 stazioni (77,9 %).
L’indicatore si basa sui dati di concentrazione di ozono in atmosfera misurati nel corso del 2022, nelle stazioni di monitoraggio distribuite sul territorio nazionale, raccolti e archiviati in ISPRA nel database InfoAria, secondo quanto previsto dalla Direttiva 2008/50/CE (e dal decreto legislativo di recepimento D.Lgs 155/2010) e dalla Decisione 2011/850/EU. Le stazioni di monitoraggio che hanno misurato e per cui sono stati trasmessi dati di O3 sono 365. Le serie di dati con copertura temporale sufficiente per la verifica dei valori soglia e dell’obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana sono 322. Le stazioni suburbane, rurali e rurali di fondo che rispettano la percentuale minima richiesta per il calcolo dell’obiettivo a lungo termine per la protezione della vegetazione (AOT40v) sono 146. L’obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana (OLT) è stato superato nella quasi totalità delle stazioni: 89,4%. La percentuale di stazioni in cui l’OLT è stato superato per più di 25 giorni è pari al 57,8%. La soglia di informazione per la protezione della salute è stata superata nel 47,5% delle stazioni mentre la soglia di allarme è stata superata in 11 stazioni. Il valore di riferimento OMS, pari a 100 µg/m³ come 99° percentile, è superato in 309 stazioni (pari al 95,9% delle stazioni con copertura temporale sufficiente). L’obiettivo a lungo termine per la protezione della vegetazione (AOT40v) è stato superato nella quasi totalità delle stazioni (94,5%).
L’indicatore si basa sui dati di concentrazione di PM2,5 in atmosfera misurati nel corso del 2022 nelle stazioni di monitoraggio distribuite sul territorio nazionale, raccolti e archiviati in ISPRA nel database InfoAria, secondo quanto previsto dalla Direttiva 2008/50/CE (e dal decreto legislativo di recepimento D.Lgs. 155/2010 e s.m.i.) e dalla Decisione 2011/850/EU. Le stazioni di monitoraggio che hanno misurato e comunicato dati del PM2,5 sono 336. Le serie di dati con copertura temporale sufficiente per la verifica dei valori di rifermento sono 299. Il valore limite annuale del PM2,5 (25 µg/m³) è rispettato nella quasi totalità delle stazioni: sono stati registrati superamenti in quattro stazioni pari all’1,3% dei casi. Risulta tuttavia superato, nella maggior parte delle stazioni di monitoraggio, il valore di riferimento annuale dell’OMS (99,7% dei casi) che nelle linee guida recentemente aggiornate è stato ridotto a 5 µg/m³ (il valore di riferimento precedente era pari a 10 µg/m³).
Sono state elaborate le stime dell’esposizione media annuale pesata per la popolazione (“Population Weighted Exposure”, PWE) al biossido di azoto (NO2) aggregata a livello comunale, mediante l’uso integrato di misure e modelli statistici. I dati ottenuti, relativi al periodo 2016-2022, permettono il confronto della PWE tra tutti i comuni e di avere un quadro completo dell’esposizione media a livello nazionale.
Nel 2022, l’82% della popolazione è stato esposto a livelli superiori al valore guida dell’OMS (10 µg/m3).
La media nazionale della PWE è stata pari a 12 µg/m³ (range minimo-massimo: 3 – 38 µg/m3).
Nel periodo 2016- 2022, si osserva una tendenza alla riduzione dei livelli di esposizione pari mediamente al 25%, legato principalmente alla riduzione delle emissioni da traffico veicolare.
Sono state elaborate le stime dell’esposizione media annuale pesata per la popolazione (“Population Weighted Exposure”, PWE) all’ozono (O3) aggregata a livello comunale, mediante l’uso integrato di misure e modelli statistici. I dati ottenuti, relativi al periodo 2016-2022, permettono il confronto della PWE tra tutti i comuni e di avere un quadro completo dell’esposizione media a livello nazionale.
Nel 2022, il 100% della popolazione è stato esposto a livelli superiori al valore guida dell’OMS (60 µg/m3 come media della distribuzione dei massimi giornalieri delle medie mobili di 8 ore nel periodo che va da aprile a settembre).
La media nazionale della PWE è stata pari a 104 µg/m3 (range minimo-massimo: 64 – 134 µg/m3).
Nel periodo osservato non si rileva una tendenza alla riduzione dei livelli di esposizione.
Sono state elaborate le stime dell’esposizione media annuale pesata per la popolazione (“Population Weighted Exposure”, PWE) al PM10 aggregata a livello comunale, mediante l’uso integrato di misure e modelli statistici. I dati ottenuti, relativi al periodo 2016-2022, permettono il confronto della PWE tra tutti i comuni e di avere un quadro completo dell’esposizione media a livello nazionale.
Nel 2022, il 97% della popolazione è stato esposto a livelli superiori al valore guida dell’OMS (15 µg/m3).
Nel periodo osservato non si rileva una tendenza alla riduzione dei livelli di esposizione: la media nazionale, nel 2022, assume lo stesso valore del 2016 (21 µg/m3), mentre nel 2017 raggiunge il valore più elevato (23 µg/m3).
Sono state elaborate le stime dell’esposizione media annuale pesata per la popolazione (“Population Weighted Exposure”, PWE) al PM2,5 aggregata a livello comunale, mediante l’uso integrato di misure e modelli statistici. I dati ottenuti, relativi al periodo 2016-2022, permettono il confronto della PWE tra tutti i comuni e di avere un quadro completo dell’esposizione media a livello nazionale.
Nel 2022, il 100% della popolazione è stato esposto a livelli superiori al valore guida dell’OMS (5 µg/m3). La media nazionale della PWE è stata pari a 14 µg/m3 (range minimo-massimo: 6 – 25 µg/m3).
Nel periodo 2016- 2022, la media nazionale passa da 15 µg/m3 del 2016 a 14 µg/m3 del 2022, facendo registrare una riduzione pari al 7%.
Nel 2022, l’agricoltura biologica in Italia ha raggiunto una superficie coltivata di 2.349.880 ettari, coinvolgendo circa 92,8 mila operatori biologici. Il biologico interessa il 7,3% del numero di aziende agricole e il 18,7% della superficie agricola utilizzata (Censimento ISTAT 2021), registrando una distanza di 6,3 punti percentuali rispetto alla soglia del 25% di SAU Bio.
Negli ultimi 32 anni l'andamento è stato crescente sia in termini di operatori sia di superficie coltivata, in controtendenza rispetto allo storico declino della superficie agricola utilizzata in Italia.
A livello europeo, l’Italia è tra gli stati membri più virtuosi.
L’indicatore descrive le emissioni di gas serra (CH4, N2O, CO2) in atmosfera prodotte dal settore agricolo, dovute principalmente alla gestione degli allevamenti e all’uso dei fertilizzanti e permette di valutare il peso del settore rispetto al totale di emissione nazionale e il raggiungimento degli obiettivi di riduzione. L'andamento delle emissioni di gas serra del settore agricoltura a partire dal 1990 è in tendenziale diminuzione; tuttavia, ulteriori interventi di riduzione dovranno essere intrapresi per raggiungere gli obiettivi stabiliti nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC), del Protocollo di Kyoto e delle Direttive europee. In particolare, l’obiettivo al 2030 per l’Italia fissato dal Regolamento Effort Sharing (2023/857/EC) è pari a -43,7% di riduzione delle emissioni complessive di gas serra dei settori agricoltura, civile, trasporti, rifiuti e impianti industriali non inclusi nella Direttiva EU-ETS (European Union Emission Trading Scheme), rispetto ai livelli del 2005. Nel 2022, le emissioni di gas serra dall’agricoltura hanno un peso marginale rispetto al totale delle emissioni dei settori del Regolamento Effort Sharing, pari all’11,2%; mentre la riduzione delle emissioni di gas serra del settore agricoltura rispetto al 2005 è pari a -12,2%.
L'indicatore misura l'energia consumata dagli utenti finali e l’energia totale consumata dal Paese. A partire dal 1990 si registra un andamento crescente dell’energia disponibile per i consumi finali, con un picco raggiunto nel 2005. Successivamente si rileva un’inversione di tendenza fino a un minimo toccato nel 2014. Fino al 2018 si osserva una ripresa dei consumi finali seguita dalla flessione nel 2019 e dalla repentina riduzione nel 2020 a causa del lockdown delle attività economiche per contenere la diffusione della pandemia di SARS-CoV-2, seguita dalla ripresa dei consumi nel 2021. Nel 2021 l’energia disponibile per il consumo finale, contabilizzata secondo la metodologia adottata da Eurostat, è pari a 118,7 Mtep, +8,6% rispetto al 2020 e +3,1 rispetto al 1990.
In Italia, la quota di energia da fonti rinnovabili nel 2020 è stata del 20,4% rispetto al consumo finale lordo, un valore superiore all’obiettivo del 17% per il 2020. Nel 2021 la quota è scesa al 19%.
Il parametro “clorofilla” è l’unico indicatore diretto di biomassa fitoplanctonica a disposizione e ha assunto il ruolo di metrica per la classificazione dello stato ecologico secondo l’Elemento di Qualità Biologica - EQB Fitoplancton acque costiere (DM 260/2010). La clorofilla, infatti, risulta particolarmente sensibile alle variazioni dei livelli trofici determinati dagli apporti dei carichi di nutrienti (N e P), provenienti dai bacini afferenti alla fascia costiera. Nel 2020 lo stato elevato sia attesta al 71,4%, lo stato buono al 12,3% e lo stato sufficiente al 16,2%. Si può notare un generale miglioramento dello stato per Campania e Marche, mentre peggiorano Emilia-Romagna e Sardegna. Marche, Liguria e Abruzzo mantengono tutte le stazioni nello stato elevato.
I progressi verso il conseguimento del buono stato ambientale delle acque marine dipendono principalmente dalla graduale eliminazione dell’inquinamento, ovvero dalla capacità di garantire che la presenza dei contaminanti non generi impatti significativi e non causi rischi per l’ambiente marino. I Descrittore 8 e Descrittore 9 della Direttiva Quadro sulla Strategia Marina 2008/56/CE (MSFD) richiedono specificatamente la valutazione della presenza dei contaminanti chimici e dei loro effetti. Nell’anno 2022 è stato svolto da ISPRA il monitoraggio della Sottoregione Mar Adriatico.
Lo stato ecologico delle acque superficiali è espressione della qualità della struttura e del funzionamento degli ecosistemi acquatici. La Direttiva 2000/60/CE (recepita in Italia con il D.Lgs. 152/2006) impone il raggiungimento del “buono” stato di qualità dei corpi idrici che è dato dalla valutazione dello stato ecologico e dello stato chimico. L'indicatore fornisce una valutazione dello stato ecologico dei corpi idrici superficiali - acque interne - basato sui dati di classificazione dei corpi idrici del Reporting WISE 2022 relativi al 3° Piano di Gestione Acque. A livello nazionale, dal confronto dei dati sullo stato di qualità ecologico tra il 2° e il 3° Piano di Gestione emerge una riduzione dei corpi idrici in stato sconosciuto, dal 18% al 10%, anche se ancora presenti. In generale lo stato ecologico non differisce molto dal precedente ciclo di gestione se non per la percentuale di laghi in stato buono, che è aumentata dal 17% al 35%.
La marea è un fenomeno periodico di innalzamento e abbassamento della superficie del mare dovuto all’attrazione gravitazione esercitata dalla Luna, dal Sole e dagli altri corpi celesti sulle masse di acqua presenti sulla Terra e secondariamente dovuto anche alle perturbazioni meteorologiche. I dati della Rete Mareografica Nazionale (ISPRA) sono stati utilizzati per caratterizzare l’ampiezza della componente astronomica del segnale di marea lungo le coste Italiane. La marea astronomica come ben noto, presenta profonde differenze nei diversi mari italiani, raggiungendo la sua massima escursione nel Nord Adriatico e nella Laguna di Venezia, essendo fortemente influenzata anche dalla configurazione del bacino.
Indicatore di stato dei mari italiani, descrive la media della temperatura superficiale delle acque marine. Nel 2022 si denota una sostanziale stabilità generale, con un lieve aumento delle temperature medie più marcato nel Canale di Sicilia rispetto al periodo 2008-2021.
Le mappe di Standardized Precipitation Index (SPI) a 12 mesi forniscono una valutazione a livello nazionale e a larga scala delle condizioni di siccità idrologica, ottenute utilizzando i dati di precipitazioni raccolti e pubblicati dai servizi idro-meteorologici regionali e delle province autonome e quelli del soppresso Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale (SIMN, ora confluito in ISPRA) del Dipartimento per i Servizi Tecnici Nazionali. Il passo temporale di aggregazione a 12 mesi scelto per la valutazione dello SPI è quello che meglio descrive gli effetti della siccità (deficit di precipitazione) sulla portata dei fiumi, sulla ricarica degli invasi e sulla disponibilità di acqua nelle falde.
Le mappe di SPI a 12 mesi (SPI12) evidenziano come la siccità e i conseguenti problemi di severità idrica hanno continuato a interessare l’Italia nel corso del 2023, sebbene in maniera differenziata rispetto alla situazione critica riscontrata nel 2022. I territori del Nord e Centro Italia nei primi quattro mesi dell’anno sono stati caratterizzati da situazioni di siccità severa ed estrema, che si sono però attenuate nel corso del 2023. Tali situazioni hanno poi iniziato a interessare i territori del Sud e delle Isole maggiori.
L'analisi mostra che i mesi da gennaio ad aprile sono stati quelli maggiormente caratterizzati da una condizione di siccità estrema su una scala temporale di 12 mesi (SPI12 ≤ –2,0), come effetto del deficit di precipitazione riscontrato nel 2022 e nei primi mesi del 2023 sull'Italia settentrionale. Tuttavia, la massima estensione raggiunta da tale condizione non ha superato il 10% del territorio italiano (la massima estensione si è avuta a febbraio 2023 con il 9,9% del paese affetto da siccità estrema), interessando in particolare l'area a cavallo tra il Piemonte e la Lombardia (afferente al Distretto Idrografico del Fiume Po) e quella tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia (afferente al Distretto Idrografico delle Alpi Orientali). Rilevante nei primi 4 mesi dell'anno anche la percentuale del territorio nazionale colpito da siccità moderata e severa (circa il 30%) al passo di aggregazione di 12 mesi.
L'indicatore valuta la domanda del trasporto di merci (anche in relazione alla crescita economica) e l'evoluzione nel tempo della ripartizione modale. Negli ultimi anni, a partire dalla fine della crisi economica, la domanda di trasporto viene soddisfatta in maniera crescente dall’autotrasporto che, per incremento e quota modale, (59% circa nel 2022) continua a essere predominante rispetto alle altre modalità di trasporto.
L'indicatore misura la domanda di trasporto passeggeri (secondo le diverse modalità) e ne rapporta l'andamento con quello della crescita economica e della popolazione. La domanda di trasporto viene soddisfatta in maniera crescente dal trasporto stradale individuale (autovetture e motocicli) che per incremento e quota modale (80% circa nel 2022) continua a essere predominante rispetto alle altre modalità di trasporto.
L'indicatore consente di valutare le emissioni dei principali inquinanti atmosferici prodotte dal settore dei trasporti. In Italia, le emissioni nocive prodotte dal trasporto stradale sono diminuite notevolmente negli ultimi anni, grazie all’introduzione di catalizzatori, di filtri per particolato fine e di altre tecnologie installate nei veicoli. Dal 1990 al 2022 le emissioni su strada di composti organici volatili non metanici si riducono dell’88,2%, le emissioni di ossidi di azoto del 74,8% e quelle di particolato fine del 75,0%. Le emissioni di ossidi di zolfo, ormai quasi assenti nel trasporto stradale, sono ancora rilevanti nel trasporto via mare. Le stime del 2020 riflettono gli effetti della pandemia, mentre nel 2021 e 2022 si assiste ad una graduale ripresa. Le emissioni inquinanti in atmosfera vengono monitorate a livello nazionale ai fini della verifica del rispetto degli impegni di riduzione imposti a livello europeo, con l’obiettivo di conseguire livelli di qualità dell'aria che non comportino significativi impatti negativi e rischi significativi per la salute umana e l'ambiente.
L'indicatore consente di monitorare per il periodo 2005-2022 la quota della flotta veicolare stradale conforme agli standard di emissione più recenti. Nel 2022 per le automobili è ancora presente una quota non trascurabile di veicoli a benzina di classe Euro 0 (13,7%), mentre per le auto diesel questa quota è molto inferiore e pari al 2,9% circa. Più preoccupante la situazione del parco commerciale, in gran parte con motorizzazioni diesel, dove l’11,2% dei veicoli leggeri (furgoni) e il 27,1% dei veicoli pesanti merci permangono in classe Euro 0.
EPRTR (European Pollutant Release and Transfer Register) è il Registro integrato che l’UE ha realizzato sulla base di quanto previsto dal Regolamento CE 166/2006, allo scopo di mettere a disposizione del pubblico l’informazione relativa agli impatti sull’ambiente derivanti dagli stabilimenti industriali che rientrano nei criteri stabiliti nella normativa. L’indicatore rappresenta le emissioni totali nelle acque superficiali e i trasferimenti di inquinanti nelle acque reflue degli stabilimenti industriali che hanno comunicato tali dati al registro nazionale PRTR. Per il 2020 sono state dichiarate 60 sostanze presenti nelle emissioni in corpo idrico superficiale, mentre con riferimento al trasferimento di inquinanti nelle acque reflue inviate mediante condotta a un trattamento esterno di depurazione le sostanze dichiarate sono state 49. I gruppi di attività PRTR che contribuiscono con percentuali maggiori alle emissioni delle sostanze dichiarate nei reflui e nelle acque superficiali sono generalmente quelle relative "Gestione dei rifiuti e delle acque reflue" e "Industria chimica”.
EPRTR (European Pollutant Release and Transfer Register) è il Registro integrato che l’UE ha realizzato sulla base di quanto previsto con il Regolamento CE 166/2006, allo scopo di mettere a disposizione del pubblico l’informazione relativa agli impatti sull’ambiente derivanti dagli stabilimenti industriali che soddisfano i criteri stabiliti nella normativa. L’indicatore rappresenta le emissioni totali in aria degli stabilimenti industriali che hanno comunicato tali emissioni al registro nazionale PRTR. Le emissioni in aria dichiarate con riferimento al 2020 sono relative a 34 sostanze (valori non nulli). Confrontando i dati 2020 con quelli 2007, è possibile osservare che per 25 sostanze le emissioni totali nazionali in atmosfera sono in diminuzione (per 23 di queste si osservano riduzioni maggiori del 40%), per 8 sostanze le emissioni complessive sono in aumento (tra queste: l'acido cianidrico +356% sul 2007, gli idrofluorocarburi +19% sul 2007 e l'ammoniaca +109%).
L’indicatore permette di valutare la contaminazione delle acque superficiali e sotterranee da residui di pesticidi immessi nell’ambiente. Il monitoraggio dei pesticidi nelle acque è reso complesso dal numero di sostanze interessate e dall’uso dispersivo. I livelli misurati sono confrontati con i limiti di concentrazione stabiliti dalla normativa vigente. Gli indicatori presentati forniscono un’analisi dell’evoluzione della contaminazione nel decennio 2012-2021 in termini di frequenza di ritrovamento dei pesticidi nelle acque, nonché sul rischio ambientale derivante dal loro utilizzo. I dati del 2021 confermano uno stato di contaminazione già segnalato negli anni precedenti, con superamenti dei limiti soprattutto nelle acque superficiali (28,3% dei punti di monitoraggio); nelle acque sotterranee il 6,8% dei punti supera i limiti normativi.
Nel 2021 la quinta edizione del Catalogo dei sussidi ambientali individua un totale di 168 misure, da cui scaturiscono 22,4 miliardi di euro (Mld €) di sussidi ambientalmente dannosi e 18,6 Mld € di sussidi ambientalmente favorevoli (rispettivamente +16,3% e -1,7% rispetto all’anno precedente). Sussidi per un importo pari a 11,5 Mld € sono di incerta attribuzione (-15,8% rispetto al 2020). Fra i sussidi ambientalmente dannosi, quelli alle fonti fossili sono pari a 14,5 Mld € nel 2021 (Figura 1 e Tabella 1).
L’indicatore rappresenta le proiezioni delle emissioni nazionali di gas serra fino al 2050, considerando lo scenario basato sulle politiche correnti al 31/12/2021, quindi incluse quelle del PNRR. Lo scenario è stato calcolato a partire dagli ultimi dati storici consolidati relativi al 2021, considerando quindi gli effetti indotti dalla pandemia di COVID-19. Le riduzioni previste nelle emissioni di gas serra totali (incluso il LULUCF) stimate per il 2030 e 2050, rispetto al 1990, nello scenario a politiche correnti risultano rispettivamente pari a -39% e -48%.
L'indicatore quantifica l'estrazione di risorse naturali - biomasse, minerali metalliferi, minerali non metalliferi e combustibili fossili - a livello globale, dovuta ai consumi finali e agli investimenti delle famiglie, delle imprese e della pubblica amministrazione in Italia. Nel 2020 il material footprint italiana è pari a 10,6 tonnellate pro capite.
Il tasso di uso circolare dei materiali misura la quota di risorse materiali riutilizzate da un'economia. Nel periodo 2004-2022 il tasso di uso circolare dei materiali italiano passa dal 5,8% al 18,7%.
Le informazioni statistiche relative alle imposte ambientali possono essere articolate secondo la categoria di imposta, le unità che le corrispondono, la classe di attività ambientale e la destinazione del gettito. In Italia, le imposte ambientali ammontano nel 2022 a 41,5 miliardi di euro (-24,4% rispetto all'anno precedente). Nel 2022, il gettito delle imposte ambientali corrisponde a circa il 5% del gettito totale delle imposte e contributi sociali e a circa il 2% del Prodotto interno lordo.
Nel 2021, il livello della spesa dell'economia italiana per la protezione dell'ambiente si attesta a 46,6 miliardi di euro, pari al 2,6% del Prodotto interno lordo. Tale rapporto è il più alto registrato dal 2016, anche se sostanzialmente stabile nel periodo 2016-2021. Le spese per la protezione dell'ambiente riguardano principalmente le finalità di gestione dei rifiuti e di gestione delle acque reflue. Le altre finalità di protezione dell'ambiente comprendono, in ordine di importanza, la protezione e il risanamento del suolo, delle acque del sottosuolo e delle acque di superficie; la protezione della biodiversità e del paesaggio; la protezione dalle radiazioni, ricerca e sviluppo, altre attività; la protezione dell'aria e del clima; l'abbattimento del rumore e delle vibrazioni (esclusa la protezione degli ambienti di lavoro).
Nel periodo considerato (2007-2021) il tasso medio di sfruttamento degli stock ittici (ovvero la media del rapporto tra mortalità da pesca corrente e la mortalità associata al Massimo Rendimento Sostenibile; Fcurr/FMSY) presenta valori 2 o 3 volte superiori alla soglia di sostenibilità. L’indicatore, stimato sulla base delle valutazioni analitiche degli stock ittici validate a livello internazionale, mostra la tendenza complessiva del tasso di sfruttamento degli stock ittici oggetto di pesca commerciale al fine di evidenziare l’andamento quantitativo complessivo della pressione di pesca. In particolare, si osserva un picco nel tasso medio di sfruttamento negli anni 2012 e 2013 (con valori superiori a 3) cui segue un declino con valori minimi riportati nel 2021 (valore medio 1,43). L'analisi è condotta a livello nazionale e di sottoregione secondo la ripartizione geografica indicata dalla Direttiva Quadro per la Strategia per l’ambiente marino (MSFD; 2008/56/CE).
I servizi ecosistemici sono intesi come flussi di benefici che le persone ricevono dagli ecosistemi, in questo senso, i beni e dunque anche i prodotti agricoli sono considerati come “mezzo” attraverso il quale si fruisce del contributo degli ecosistemi al benessere umano. La produzione di cibo in particolare viene classificata come servizio di approvvigionamento e rappresentata dalla produzione agricola potenziale. La valutazione del servizio è basata sull’identificazione dei processi/funzioni del suolo che ne presiedono la fornitura strettamente dipendenti dalle caratteristiche dei suoli, dalle tipologie di colture e pratiche agronomiche e dalle condizioni climatiche. La produzione di cibo subisce un rilevante impatto delle diverse forme di degrado del suolo, tra le quali il consumo di suolo è uno dei maggiori fattori. L'indicatore fornisce una misura dell'impatto del consumo di suolo sulla produzione agricola con una fotografia aggiornata annualmente. A causa del consumo di suolo tra il 2012 e il 2021 si perde annualmente un quantitativo di oltre 4 milioni di quintali di prodotti agricoli non più prodotti.
L'indicatore rappresenta l'andamento delle emissioni nazionali di particolato (PM2,5) per settore di provenienza dal 1990 al 2022, evidenziando a livello totale una marcata riduzione negli anni (-39%). Il settore del trasporto stradale, che contribuisce alle emissioni totali con una quota emissiva del 9,3% nel 2022, presenta una riduzione nell’intero periodo pari al 75%. Le emissioni provenienti dalla combustione non industriale, nel medesimo periodo, crescono di quasi il 38%, rappresentando nel 2022 il settore più importante con il 63,8% di peso sulle emissioni totali.
L'indicatore illustra lo stato di conservazione e le tendenze delle specie italiane tutelate dalla Direttiva 92/43/CEE (Direttiva Habitat) ed è basato sui risultati di sintesi del IV report italiano riferito al periodo 2013-2018 e consegnato alla Commissione Europea nel 2019, relativi a un totale di 349 specie (232 specie animali e 117 specie vegetali) di interesse comunitario presenti sul nostro territorio e nei nostri mari. Nel IV report sono state prodotte complessivamente 337 mappe di distribuzione e 619 schede di reporting (una per ciascuna specie in ogni regione biogeografica di presenza). Le valutazioni del 2019 mostrano che sono in stato di conservazione (SC) sfavorevole (inadeguato o cattivo) oltre la metà delle specie terrestri e delle acque interne, il 54% della flora e il 53% della fauna, e il 22% delle specie valutate in ambito marino. Dal confronto tra i due ultimi periodi di reporting (2007-2012 e 2013-2018), non si rilevano miglioramenti dello SC delle specie, unico segnale positivo è l’aumento delle conoscenze, con una diminuzione dei casi con SC sconosciuto. L’indicatore mostra l’urgente necessità di un maggiore impegno per la conservazione delle specie tutelate dalla Direttiva Habitat, anche in relazione al target della nuova Strategia Europea per la Biodiversità, che stabilisce che almeno il 30% di specie e habitat in SC sfavorevole migliori il suo stato entro il 2030 o mostri almeno un trend di miglioramento.
L'indicatore fornisce la percentuale di stazioni di monitoraggio delle acque sotterranee suddivise in classi di qualità in funzione della concentrazione media dei nitrati rilevata nell'arco di un quadriennio di monitoraggio (2016-2019); in particolare il 68,1% delle stazioni presenta una concentrazione media di nitrati inferiore a 25 mg/l; solo il 12,6% dei punti monitorati ha registrato una concentrazione media superiore o pari ai 50 mg/l. Inoltre, da un’analisi del trend dell'ultimo quadriennio (2016-2019) rispetto al quadriennio precedente (2012-2015) si evince un andamento prevalentemente stabile della concentrazione dei nitrati, una diminuzione della concentrazione media nel 37,9% delle stazioni comuni tra i due quadrienni, a fronte di un aumento registrato solo nel 22,7% delle medesime stazioni.
L’indicatore è utile per monitorare i progressi verso un'economia circolare, consentendo di identificare le quantità di materia reimmessa nell'economia a seguito del trattamento dei rifiuti. Rispetto ai quantitativi complessivamente avviati a operazioni di recupero e smaltimento, più dei due terzi vengono riciclati, collocando l’Italia tra i Paesi con il tasso di riciclaggio più alto.
L'indicatore contribuisce a misurare l'abbondanza e la ricchezza del popolamento ornitico in Italia, nel corso dell'anno, descritte sulla base di dati di inanellamento, al fine di delineare il ruolo dell'Italia nel contesto della distribuzione spazio-temporale dell'avifauna europea. I dati 2019-2020 confermano l'assoluta rilevanza dell'Italia quale rotta di migrazione di grande importanza tra Europa e Africa, e contribuiscono a definire i periodi critici per le specie utili a fini conservazionistici e gestionali.
La Direttiva Habitat (92/43/CEE) rappresenta uno dei principali pilastri della politica comunitaria per la conservazione della natura. L’indicatore si basa sui dati forniti dall’Italia per il reporting periodico richiesto agli Stati membri dall’art. 17 della Direttiva. La scheda contiene una sintesi generale del IV Report italiano, riferito ai dati dei monitoraggi effettuati dalle regioni e dalle province autonome nel periodo 2013-2018. In particolare, si evidenzia lo stato di conservazione complessivo riscontrato per gli habitat terrestri e delle acque interne presenti sul territorio nazionale e la ripartizione dello stato di conservazione nelle regioni biogeografiche italiane. Viene inoltre mostrato il numero di valutazioni da effettuare dalle singole regioni e arovince autonome per il monitoraggio degli habitat al fine di fornire quantificazione dell'intensità di lavoro prevedibile. La tendenza rispetto al precedente ciclo di rendicontazione risulta negativa con una diminuzione delle valutazioni favorevoli. Attualmente sono in stato di conservazione favorevole solo l’8% dei casi a fronte del 49% di valutazioni di stato inadeguato e del 40% di valutazione di stato cattivo. Si rileva pertanto una situazione generale problematica, che allontana, ancor di più rispetto al passato, il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla normativa.
L’eutrofizzazione è un processo causato dall’arricchimento in nutrienti, in particolare composti dell’azoto e/o del fosforo, che determina un incremento della produzione primaria e della biomassa algale con conseguente alterazione delle comunità bentoniche e, in generale, diminuzione della qualità delle acque. L’immissione nell’ambiente marino e costiero di azoto e fosforo può derivare da fonti puntuali (quali scarichi di trattamento delle acque reflue, di processi industriali e di impianti di acquacoltura e maricoltura) e da fonti diffuse (ad esempio il dilavamento delle superfici agricole e le emissioni dei trasporti).
Il Descrittore 5 della Strategia Marina dell’UE (Direttiva 2008/56/CE) pone come obiettivo la riduzione al minimo dell’eutrofizzazione di origine umana, l’Italia ha condotto una valutazione iniziale nel 2012 e un suo aggiornamento nel 2018, ai sensi dell’art. 8 della Direttiva stessa. Le cause dell’eutrofizzazione sono soprattutto da riferirsi agli apporti di nutrienti veicolati a mare dai fiumi o dagli insediamenti costieri che provocano seri impatti negativi sulla salute degli ecosistemi marini e sull’uso sostenibile di beni e servizi; le principali fonti di nutrienti sono riconducibili al settore agro-zootecnico e a quello civile (insediamenti urbani). Nel periodo 2012-2017 si è registrata complessivamente una riduzione della concentrazione superficiale di clorofilla ‘a’ in tutte le sottoregioni italiane.
Il numero delle aree e la superficie marina protetta sono cresciuti costantemente nel tempo.
Attualmente in Italia sono presenti 39 Aree Protette Marine (APM), istituite in 10 regioni italiane; di queste, 29 sono Aree Marine Protette (AMP).
La Sicilia e la Sardegna sono le regioni in cui ricadono la maggior parte di aree protette marine sia in termini numerici, che di superficie marina protetta.
Tra il 2012 ed il 2019 a livello nazionale la superficie delle APM è aumentata dell’1,9%, grazie all’istituzione nel 2018 delle 2 Aree Marine Protette di Capo Testa - Punta Falcone in Sardegna e di Capo Milazzo in Sicilia.
In Italia, ad oggi, sono state istituite 843 aree protette terrestri (e terrestri con parte a mare) per una superficie protetta di oltre 3 milioni di ettari, pari a circa il 10,5% della superficie terrestre nazionale. Analizzando la serie storica (1922-2019) è possibile apprezzare, soprattutto a partire da metà anni '70, andamenti positivi in termini di aumento nel numero e nella superficie delle aree naturali protette terrestri, mentre dagli anni 2008-2009 si assiste a una certa stabilizzazione dei trend di crescita.
Nel contesto del Reporting WISE 2022 relativo al 3° ciclo del Piano di gestione previsto per la Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE (WFD-Water Framework Directive), è stata prodotta e fornita dall'Italia alla Commissione europea la valutazione effettuata dall'ISPRA e l'Istat del livello di pressione che nel periodo 2015–2019 le attività umane hanno esercitato sui corpi idrici a seguito dei prelievi di acqua per i diversi usi (civile, agricolo, industriale, ecc.). La valutazione si basa sulla stima del Water Exploitation Index Plus (WEI+) che quantifica, per un assegnato intervallo temporale e un determinato territorio, il livello di stress idrico come rapporto tra il consumo di acqua, ossia i prelievi al netto delle restituzioni, e la disponibilità naturale di risorsa idrica rinnovabile.
La valutazione del WEI+ evidenzia, in particolare, il ruolo della siccità del 2017 sulla riduzione di risorsa idrica disponibile e quindi sul non completo soddisfacimento della domanda di risorsa a scala distrettuale, in particolare per il Distretto idrografico del Fiume Po, con un WEI+ = 29,1% (WEI+> 20% indica infatti una condizione di stress idrico). Dalla valutazione a scala stagionale il 2019, anno questo invece caratterizzato da un surplus di disponibilità di risorsa idrica, con un +24% a livello nazionale rispetto alla media annua sull’ultimo trentennio climatologico 1991–2020 (fonte elaborazioni modello BIGBANG dell'ISPRA), emerge il ruolo decisivo dei prelievi di acqua dai corpi idrici. Appare evidente che, a livello trimestrale, il periodo luglio–settembre è quello più critico, con la quasi totalità del territorio nazionale in stress idrico e con più della metà (circa il 66,4% dell'Italia) in stress idrico grave (WEI+ > 40%). Il Distretto idrografico della Sicilia, con un WEI+ di 93,5%, è quello maggiormente colpito dallo stress idrico nel periodo luglio–settembre 2019 per i prelievi di risorsa idrica, seguito dal Distretto idrografico del Fiume Po, con un WEI+ di 60,2%.
L’indicatore fornisce un quadro nazionale sullo stato di conservazione delle 268 specie di uccelli nidificanti valutate nel processo di rendicontazione ex art.12 della Direttiva Uccelli 2009/147/CE. Tra queste, sono incluse le specie di interesse comunitario elencate negli Allegati I e II della Direttiva, nonché quelle specie che giustificano la designazione delle Zone a Protezione Speciale (ZPS). Il risultato dell’indicatore a livello nazionale vede un aumento dal 51% (ciclo di rendicontazione 2007-2012) a 56% (ciclo rendicontazione 2013-2018) di specie con uno stato di conservazione favorevole sul totale delle specie. Tale incremento non ha consentito comunque di soddisfare l’obiettivo posto dalla Strategia per la Biodiversità 2020 dell’Unione Europea (76%). Lo stato di conservazione dell'avifauna italiana nidificante può essere, inoltre, valutato attraverso i trend di popolazione a breve termine, che riflettono i processi in atto nell'ultimo decennio: il 46% delle specie presenta un incremento di popolazione o stabilità demografica, mentre quasi un quarto delle specie risulta in decremento (il restante 33% presenta un andamento di popolazione sconosciuto). Per ciò che concerne, invece, i trend a breve termine dell’estensione d'areale di distribuzione, la frequenza delle specie in diminuzione è minore, poiché solo i casi di declino più marcato portano anche a contrazioni di areale: il 21% delle specie mostra una riduzione di areale, mentre il restante 79% presenta un trend di areale stabile o in aumento.